Il contemporaneo raccoglie nella propria analisi una visione di progresso e di sviluppo che non nasconde le strette strade che “permettono” di atterrare all’arrivo. Mascherate da innovazioni o forse innovazioni reali detengono immagini finali idilliache, paradisiache. La concezione di un mondo ideale, per chi poi. La strada non può far conto del singolo, finge di interessarsene, ne parla come se fosse un fratello, ma forse che non si è amato mai, di cui in realtà non importa a nessuno. È troppo impegnativa la visione dell’altro, del singolo altro, faccia a faccia in modo diretto, il tempo sfugge e c’è l’impegno di se stessi. Una gara ardua che non permette di guardare di fianco o addirittura indietro. L’unica direzione è avanti, avanti. La triade nel ciclo capitalista è un cane che si morde la coda, che porta a capo, a niente. Lo sviluppo, lo sviluppo, lo sviluppo a discapito di chi e a che pro? Rivoluzioni su rivoluzioni che hanno portato ad oggi e sempre senza far conto del singolo. Il singolo come numero, come risorsa umana, come oggetto, come una formica istruita a dovere per poter creare tutto ciò che serve agli altri ma non a se stessa. Che cosa serve a me stesso? Posso anch’io correre e guardare un’unica direzione? Posso non curarmi di cosa o chi mi lascio alle spalle?
Chissà se sto facendo davvero la cosa giusta, continuo a ripetermi nella discesa al purgatorio, guardando distrattamente la superficie di un pianeta che anch’io ho abitato, quando non c’era bisogno di sentirsi cittadini di un luogo per vivere. Gaia è bella perché è grande ma non abbastanza da perdersi. È questo ciò che rende un pezzo di materia solida una casa. Me lo diceva sempre una persona che ho amato tanto, che ho amato più di Dio nostro Salvatore. E gli esseri umani lottano ogni giorno per cercare di non farsi dimenticare, per estremizzare ogni problema pur di risalire da un pozzo artificiale di terrore. E da qui, da quassù, sembra quasi non sentirli urlare. Sembra di non dover salvare nessuno. Sono piccoli, mortali e dimenticabili. Quasi provo un dolore al petto per ognuno di loro poiché non sanno come restare fermi a guardare, poiché non sanno quanto è futile un loro lamento, per cui cercano in ogni modo di rovinarsi i secondi, come se contassero. Vorrei avere il potere di salvarli tutti, di far vedere loro che respirando lentamente e dormendo solo quanto necessario, non avrebbero altra preoccupazione se non il voler vedere di più. Vorrei distruggere ogni loro sciocco orologio. Che il tempo da qui non ha forma né effetto.
Come faccio a scegliere? Dovrei catapultarmi in ogni vita, dovrei essere il ratio di ognuno ma ne ho davvero la competenza? Non sono sicuro di riuscirci, da quassù sembra così facile, restando fuori da quelle vite, dai minuti trascorsi in quei piccoli spazi. Sembra tutto così finto, un tranello. Qualcosa che ruota di continuo senza fermarsi circondata da satelliti di futilità e felicità finta. Ce la posso fare però, per qualcuno, magari potrò essere una piccola voce che suggerisce la giusta via, quella che porta a se stessi senza aver vincoli culturali, religiosi, sociali. Sarebbe facile se fossimo in un campo neutro, senza alcun’altra forza. È facile razionalizzare un segno in un campo neutro, le variabili sono limitate alle sole forze prese in considerazione, non vi sono infezioni, deviazioni, scosse. Tutto funziona nel giusto modo, almeno per quell’elemento, almeno per quel momento. In un campo, invece, così pieno di forze, così contaminato da dinamiche intrinseche sotto pelle riuscirò a determinare delle migliorie? È sotto pelle che voglio documentare il tutto, renderlo parte di me, ognuno di loro parte di me, ma mi basterà il tempo che ho? Si accorgeranno di certo di ciò che sto provando a fare e non mi sarà permesso. Devo essere astuto, agile, fuorviante. Cercherò di far più che posso finché mi sarà permesso.