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Conversazione con Angelo Gallo di Andrea Romoli Barberini

 

Andrea Romoli BarberiniAndrea Romoli Barberini: “I lavori che hai realizzato, per quanto calati nella dimensione dell’enigma concettuale, suggeriscono, in qualche misura, una sorta di intonazione tematica comune o se preferisci, pur nelle differenze delle tecniche che hai adottato, l’appartenenza alla medesime riflessioni di partenza. Nel tentativo di coglierne il senso, ad una prima sommaria osservazione vi si avverte come un sofisticato clima, un’atmosfera vagamente fosca che potrebbe accompagnare allo svelamento di cupe e remote ipotesi o verità celate nella complessità delle trame problematiche che le sostanziano e dei segni che ne intendono restituire una lettura …”

Angelo Gallo: “Questo ciclo di opere nasce da una riflessione sul concetto di cultura, o meglio di identità culturale, nella molteplicità delle sue accezioni, dei suoi valori e delle sue numerose e insospettabili controindicazioni.  Un tema affascinante che si è imposto alla mia attenzione attraverso una serie di letture che spaziano dalla sociologia all’antropologia, passando per l’estetica e tanto altro.”

A.R.B. : ”Per un luogo comune piuttosto diffuso, ma non necessariamente sostanziato di argomenti analitici,  si tende generalmente ad accordare al concetto di cultura un’accezione sostanzialmente positiva che mi pare tu non condivida più di tanto. La tua presa di distanza critica è forse motivata dai pericoli che certe forme di radicalismo identitario, oggi piuttosto in auge, includono?” 

A.G. : “In qualche modo anche il problema a cui fai riferimento rientra nei contenuti del mio lavoro che però, in sostanza, intende sollevare un dubbio. Dubbio  che credo sia sostenuto da una situazione che ritengo oggettiva, ormai cristallizzata e, pertanto, probabilmente irreversibile. Per affrontare un tema tanto complesso mi sono avvalso dell’immagine simbolica di un uccello deprivato delle sue ali, chiara metafora dell’uomo, per così dire, ambientato nei propri confini culturali e da questi condizionato. Ovviamente non prendo in considerazione una cultura in modo particolare. In questo ciclo, infatti, ho coinvolto, con riferimenti chiari, più continenti, per evidenziare che il concetto di cultura, che in qualche modo sottintende e avvolge determinate aree del mondo, pur nelle sue variabili, presenta problematiche comuni in tutti i luoghi. Questo pensiero è scaturito da una riflessione sui sistemi culturali che in origine si sono sviluppati in modo sostanzialmente coercitivo per gestire le comunità, partendo dal singolo individuo. Per questo ho usato la metafora dell’uccello mutilato che compare in diversi fogli stampati con tecniche calcografiche, ma anche nella tridimensionalità di un ologramma, quasi a rappresentare la certificazione, emessa da un ente o da uno Stato, del taglio delle ali, quindi dell’avvenuta omologazione ai parametri di un particolare sistema culturale. In altri termini con questa violenta mutazione corporea certificata, l’animale è pronto per essere immesso nella vita controllata, in una società che ha definito i propri parametri culturali e le sue regole.  Con il taglio delle ali l’uccello-uomo viene pertanto privato di qualcosa di grande per essere racchiuso in una realtà di conoscenze e convenzioni legate a una cultura che in tal modo determina le proprie strutture sociali. Ne deriva una visione del mondo limitata perché delimitata dalla cultura d’appartenenza.”

A.R.B. : “La tua è una riflessione per immagini che in qualche modo si raccorda alle  questioni, centrali al giorno d’oggi, riguardanti società e linguaggio, multiculturalità e comunicazione affrontate, tra gli altri, in una prospettiva particolare  da  Chomsky,  Z. Bauman, Virilio, Baudrillard,  G. Baumann, tanto per fare qualche nome…  Le ali simboleggiano, quindi,  uno strumento di elevazione con potenzialità transculturali di cui ciascuno viene naturalmente dotato. Tuttavia, nel tempo, la società in cui l’individuo vive, finisce in qualche modo con il definire, delimitare, se così si può dire, con il proprio sistema di valori, il raggio delle possibilità di condivisione o, ancora, imporre una contrazione delle disponibilità dialettiche con ripercussioni che incidono sulla facoltà di giudizio in tutti gli ambiti, non esclusa la sfera etico morale. A questo corrisponde l’amputazione delle ali?

A.G.: “ Sì, certo. E non a caso nella mia tesi di laurea, in cui mi sono occupato di queste problematiche, leggendo anche gli autori che hai menzionato, ho affrontato il tema dell’etica referenziata. E per etica referenziata intendo appunto quel sistema di valori, quella cultura appunto, che una certa società definisce nel corso del tempo in determinati luoghi. Valori che, evidentemente, possono differire da quelli di altre società, passate per esperienze e necessità diverse, e con essi configgere. Il problema è che senza una visione che trascenda da una particolare cultura d’appartenenza, ogni individuo avvertirà il proprio sistema di valori come il migliore possibile. In altri termini, quindi, il taglio delle ali nel ridurre le facoltà critiche soggettive, contestualmente  narcotizza l’individuo dal dolore per la perdita di ogni ulteriore possibilità di visione del mondo. Tutto ciò incide e limita le facoltà di giudizio.”

A.R.B. : “Ispirate da questa tua riflessione, e dalle inevitabili implicazioni legate al linguaggio, ho visto che in alcune incisioni hai inserito anche dei brevi testi scritti con codici di paesi lontani . Inoltre rilevo una serie di fogli, sostanzialmente aniconici, in cui, alla luce di quanto detto, mi pare di riconoscere qualcosa che evoca la genesi della scrittura. Scrittura che in qualche modo ricompare in forma di loghi di  testate giornalistiche in un’altra opera che riporta, forse in modo troppo didascalico, la questione drammaticamente attualissima dello scontro tra cultura occidentale e integralismo islamico…”

A.G. : ”Fai riferimento ad opere diverse unite dal comune amalgama del problema dei sistemi culturali referenziati che abbiamo affrontato. La questione del linguaggio, in questa riflessione, ha una centralità assoluta. Pertanto in alcuni fogli ho inserito delle frasi in amarico, una lingua diffusa in Africa orientale, che integrano il linguaggio dell’immagine anche per rinviare a questioni identitarie e geografiche.  Nei fogli che si presentano come composizioni sostanzialmente astratte ho, invece, voluto rappresentare diverse fasi e ipotetiche modalità di sviluppo della parola scritta, a partire da quella che possiamo definire come la sua fase primordiale e magmatica. Sono fogli importanti proprio per la rilevanza del problema che affrontano rispetto al significato più generale dell’intero ciclo. L’opera che, invece, prende spunto dal terrorismo, dal titolo Media flag, in qualche modo raccoglie e dimostra come un teorema gli effetti più estremi e devastanti della complessità dello scontro in atto, in cui convergono  e si concentrano tutte le questioni cui abbiamo fatto riferimento. Tutto è strettamente e necessariamente correlato come, a ben vedere, sono in certa misura correlate anche le tecniche che ho utilizzato, apparentemente distanti e per certi versi contraddittorie, perché adotto, a seconda del caso, modalità tradizionali e tecnologicamente più avanzate,  ma comunque funzionali alla definizione di forme portatrici di significati che definiscono, a loro volta, uno scenario di senso complesso.”

 

Andrea Romoli Barberini

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